“7 Minuti” al Festival del Cinema di Roma

Michele Placido, donne e lavoro. «7 minuti», un film difficile

Fuori dal mondo. Così fuori dal mondo che alla Festa di Roma – dove con “Sole cuore amore” di Daniele Vicari rappresentava il cinema di impegno civile – una ragazza al guardaroba raccontava così la trama. “Ma come, lavorano in fabbrica, hanno un contratto a tempo indeterminato, il congedo per la maternità e ancora si lamentano? Solo perché devono accorciare la pausa tra i turni?”. Puntuale: a Michele Placido non interessa il pubblico delle addette al guardaroba (ragazze che non hanno neppure i soldi per andare al cinema, e magari si arrangiano scaricando serie americane). Interessano i nostalgici del Sindacato, del sacro Statuto dei Lavoratori, degli Scioperi con i Tamburelli. Più puntuale ancora: il tamburello festeggia la fabbrica che non chiude, pur essendo stata comprata dalla cattiva multinazionale francese.

Ma appunto c’è la Clausola: in cambio del lavoro (a tempo indeterminato e con le garanzie) sette minuti in meno tra un turno e l’altro. Qui si scatena lo psicodramma, abilmente manovrato dalla portavoce del consiglio di fabbrica Ottavia Piccolo. L’attrice già nella versione teatrale del dramma “7 minuti” di Stefano Massini (lo stesso della premiata e molto tradotta “Lehman Trilogy” diretta da Luca Ronconi: la Lehman Brothers cominciando dallo sbarco dei miserabili fratelli a Ellis Island). Nel film recita con più maiuscole e più sottolineature di un quadro allegorico. Le Povere Operaie sono vessate dallo Sporco Capitalista, mentre a nulla servono le vibrate proteste della Portavoce Sindacale (viene anche sospettata di intelligenza con il nemico, le Povere Operaie sono pure Ingrate). Siamo andati a leggere il testo, per capire come distribuire le colpe. L’ideologia sta nel copione, assieme al riferimento a “La parola ai giurati”, testo di Reginald Rose e film di Sydney Lumet (ma c’era bisogno di dirlo? viene ribadito ogni momento). Lo Sguardo Dolente di Ottavia Piccolo, assieme a una regia dalla mano pesantissima, completa il disastro. Con un “effetto lega” che sfugge di mano: le operaie straniere – pure quelle del sud – contente di non essere licenziate subito accettano la pausa breve.

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